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Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, Vito Palazzolo e Tano Badalamenti decidono che è l’ora di far saltare in aria Peppino Impastato.

Giornali, magistrati e politici si inventarono tesi meschine, tra cui il suicidio, nonostante la ricostruzione dell’assalto, del pestaggio e della deflagrazione fosse evidente. Peppino condusse una vita contro, per 30 anni, da quando rinnegò il regime mafioso della sua famiglia, fino alla lotta al fianco dei contadini e all’agrodolce missione socioculturale di Radio Aut.

 

Badalamenti è morto di vecchiaia 3 anni fa, nel Massachusetts, mentre scontava una condanna di 45 anni – dal 1987 – per Pizza Connection. Solo nel 2002, in Italia, venne ritenuto colpevole dell’omicidio Impastato.

La causa di Peppino, ancora oggi, seppur resa popolare dalle tante dediche provenienti dal mondo delle arti, è rimasta una bandiera di pochi. La sua storia non è – e mai sarà – un fatto tradizionale, non è patrimonio di questa o quella parte politica, non deve nemmeno lontanamente sfiorare il rischio di diventarne un’insegna.

 

I funerali di Peppino Impastato

E’ invece una lezione di grande civilità; non c’è davvero altro da dire, su Peppino, se non che il suo fosse un coraggio mosso da un forte senso della collettività. Quando la mafia si appropria degli spazi e dei tempi vitali, è lo stesso concetto di essere umano che si svuota di significato.

29 anni fa moriva Peppino Impastato.
Perché le sue azioni, come quelle di tante altre vittime della mafia, non sfumino, anno dopo anno, nel commiato e nella commozione, ma restino degli esempi di dignità, chiediamo a tutti voi di ricordarvene anche per il resto dell’anno. Nelle vostre scelte, nelle vostre responsabilità, nelle vostre coscienze.

 

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