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Certamente la Signora Lanzillotta, il Signor Bersani e tutti coloro che in seno all’ex-governo di centro sinistra si sono battuti (e sono stati in tanti) per la liberalizzazione/privatizzazione dei servizi idrici, sono felici. Finalmente sono riusciti, grazie ai Signor Tremonti, Alemanno e Berlusconi, a realizzare il loro sogno di vedere la concorrenza, la competititività, la performance commerciale, la dimensione industriale, la creazione di ricchezza per il capitale privato (ma anche pubblico: si pensi ai dividendi per i Comuni azionisti!) orientare il governo dei servizi pubblici locali.
Che bello, si diranno crogiolandosi al calore dell’articolo sulle liberalizzazioni del nuovo decreto legge 112 del 25 giugno 2008, ora tutto è più chiaro e conforme agli imperativi della modernizzazione dell’economia italiana per adeguarla ai canoni della globalizzazione dei mercati finanziari mondiali! A partire dall’entrata in vigore del decreto, la gestione dell’acqua deve essere affidata, via gara pubblica, principalmente a due tipi di impresa, quella a capitale privato e quella a capitale misto (dove il capitale privato non puo’ essere inferiore al 30%). Anche se l’affidamento ad un’impresa «pubblica» in house non sparisce formalmente, esso sarà possibile solo nelle situazioni che non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato, adeguatamente motivate all’Antitrust con un’analisi di mercato e una valutazione comparativa con l’offerta privata. Ad ogni modo, tutti gli appalti acquisiti con affidamenti in house senza gara cesseranno la loro efficacia al più tardi il 31 dicembre 2010. Leggi il seguito di questo post »

di Giorgio Cremaschi 
La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, espresse calde lacrime di cordoglio nell’assemblea di insediamento, perché il giorno prima in una delle sue fabbriche era morto un lavoratore travolto da una catasta di tubi. C’era da pensare, c’era da prevedere che tutte le strutture aziendali del gruppo fossero messe sotto pressione e subissero le necessarie strigliate per impedire il ripetersi di simili traumi. E invece poche settimane dopo, proprio nel più importante stabilimento del gruppo, lo stesso tipo di incidente: un lavoratore abbattuto da una massa di ferro. Ma allora, l’ipocrisia con la quale si diffonde il pubblico cordoglio ogni volta che c’è una strage sul lavoro non solo è insopportabile, ma non è neppure in grado di determinare quei minimi comportamenti che indurrebbero a non esagerare, a stare un po’ attenti almeno sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Del resto, lo stesso è successo in Sicilia, dopo la strage di Catania. Un solo giorno dopo, un lavoratore precario in appalto all’Enel è morto. Sembra incredibile persino che alla Thyssenkrupp, pochi mesi dopo la strage di Torino, un altro lavoratore in appalto sia morto mentre lavorava all’interno dello stabilimento di Terni. Solo pochi giorni dopo che in pompamagna era stato siglato dagli enti locali e dalle parti sociali un protocollo sulla sicurezza. Leggi il seguito di questo post »

Il Presidente della Bolivia si rivolge al Parlamento europeo, alla vigilia del voto sulla direttiva contro gli stranieri: Se sarà approvata – dice – saltano i trattati commerciali e cambiano le condizioni di ingresso nei paesi andini

Evo Morales*

EVO MORALESFino alla prima metà del secolo XX, l’Europa fu un continente di emigranti. Decine di milioni di europei partirono verso le Americhe con l’intento di colonizzare, di sfuggire alla miseria, alle crisi finanziarie, alle guerre, ai totalitarismi ad alle persecuzioni inflitte alle minoranze etniche.
Oggi sto seguendo con inquietudine il processo d’approvazione della cosiddetta “direttiva rimpatrio”. Il testo, approvato lo scorso 5 giugno dai ministri degli interni dei 27 paesi membri dell’Unione Europea, dovrà essere sottoposto al voto del Parlamento europeo il 18 giugno. Ho l’impressione che questa direttiva indurisca in maniera drastica le condizioni di detenzione e d’espulsione degli emigranti senza documenti, indipendentemente dal loro tempo di permanenza nei paesi europei, dalla loro condizione lavorativa, dai loro legami familiari, dalla loro volontà d’integrazione e dal raggiungimento della stessa. Gli Europei giunsero in massa nei paesi latino americani ed in America settentrionale, senza visto e senza alcuna condizione imposta dalle autorità. Furono sempre i benvenuti, e continuano ad esserlo, all’interno dei nostri paesi che assorbirono la miseria economica dell’Europa e le sue crisi politiche. Vennero nel nostro continente per sfruttare le ricchezze locali e trasferirle in Europa con un altissimo costo per le popolazioni originarie d’America. Leggi il seguito di questo post »

Francesca Marretta

Londra
L’Irlanda ha votato «nil» al referendum sul Trattato di Lisbona con il 53,4 per cento di voti contrari contro il 46,6 per cento a favore. Una bocciatura non imprevista del testo firmato nel 2007 dai leader dell’Unione europea e ratificato da diciotto paesi su ventisei, che propone una versione rivista della Costituzione europea già respinta nel 2005 da francesi e olandesi.
L’esito della scelta democratica di circa il 40 per cento dei tre milioni di cittadini irlandesi aventi diritto al voto, ha provocato un terremoto politico in Europa ed ha avuto come immediata reazione una flessione dell’euro, che ieri ha toccato nei confronti del dollaro Usa il minimo mensile a 1,5307. 
Effetto delle turbolenze politiche in vista nei cieli d’Europa, i cui governi sembrano aver avuto come prima reazione un monito di disappunto, ma non inviti alla riflessione sull’espressione democratica di cittadini europei. Eppure la campagna per il “si” al Trattato in Irlanda ha messo insieme un ampissimo schieramento di governo e opposizione. Il “no” al Trattato è stata una battaglia politica del partito nazionalista irlandese di sinistra Sinn Fein, attivo in Eire e Ulster, e del movimento di opinione Libertas guidato dall’imprenditore Declan Ganley.

Un fattore che dovrebbe indurre forse una considerazione più rispettosa dell’esito della consultazione popolare. 
Gerry Adams, leader dello Sinn Fein, che vede nel voto «la fine del Trattato di Lisbona», ha invitato il premier irladese Brian Cowen ad «ottenere ora un miglior accordo non solo per l’Irlanda ma anche per il resto d’Europa», sottolineando che «il no è la base per un nuovo negoziato» ed è il segno che «la gente vuole un’Europa sociale ed un trattato più democratico». 
Concetti confermati a Liberazione dall’esponente di punta dello Sinn Fein ed Eurodeputata nel gruppo della Sinistra Europea Barbara de Brùn, secondo la quale l’affluenza alle urne del 40% non è affatto bassa (come hanno indicato diversi analisti europei, ndr.), dato che in Irlanda per consultazioni elettorali l’affluenza è stata minore.  Leggi il seguito di questo post »

Quando la riunione plenaria conclusiva si è aperta con cinque o sei ore di ritardo ed è stata subito interrotta, s’è sentito il sapore della farsa. Della farsa, o quanto meno del caos che regnava all’interno del palazzo della Fao se comincia una plenaria senza la delegazione europea. Erano le 18 e 50, e l’imbarazzante stallo ancora non si era risolto. Riprendono, alle 19 e 30, con la protesta dei delegati che, sostengono «non sono stati sufficientemente informati». Alle 20 l’approvazione del rapporto del Comitato plenario, il primo documento finale della Conferenza, viene bloccato dall’Argentina, che non vuole vedersi imposte regole sulle restrizioni all’export. Poi Cuba e Venezuela parlano di «supposta maggioranza» per ben due volte, e i toni sono durissimi. «E’ disdicevole continuare così, non pensiamo più a quelli che soffrono» tuona il delegato del Congo. 

E’ in questo clima che viene approvata la dichiarazione finale, dopo 72 ore di trattative e l’opposizione dell’Argentina ha fatto aggiungere la sua dissociazione, in coda al documento: un clima da Wto, ovvero da organizzazione mondiale del commercio, che non ci si aspettava certo di trovare all’interno del palazzo di un’organizzazione dovrebbe occuparsi della fame nel mondo. Così, dopo la passerella dei capi di Stato, i vergognosi banchetti e le photo opportunity, ieri alla Fao è stato il giorno della resa dei conti.

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Checchino Antonini
Disastro ambientale, danneggiamento e deviazione di acque, deturpamento di bellezze naturali, associazione a delinquere per il traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi: il catalogo dei reati tirato fuori dai carabinieri del Noe, il nucleo del controllo ecologico, è impressionante al punto che il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, alla luce dei primi esiti dell’operazione “Black river”, ha “titolato” così: «Una Gomorra subappenninica». Il “fiume nero” è quello che scorre sotto il cumulo di 500mila tonnellate di rifiuti di qualsiasi tipo accatastati illegalmente nell’alveo del Cervaro, un torrente che dall’appennino scorre verso il Gargano. A Castelluccio dei Sauri, meno di venticinque chilometri da Foggia, i carabinieri hanno scoperto una discarica abusiva grande come otto campi di calcio, 330mila metri cubi, la più grande d’Europa.

Una massa enorme che, se smaltita correttamente avrebbe imposto una spesa di almeno due milioni e mezo di euro. E all’alba di ieri sono scattate 42 ordinanze di sequestro di beni e del laboratorio di analisi utilizzato per le false cerificazioni e gli arresti di dodici imprenditori, il gestore della vicina discarica autorizzata, ma esaurita, di Deliceto, i responsabili di un impianto di frantumazione inerti, Valente snc, e un nugolo di autotrasportatori. «Una regìa condivisa da malavita organizzata e imprenditori senza scrupoli – ha detto Nichi Vendola – capaci persino di alterare il corso naturale di un fiume per lucrare ai danni della popolazione e del territorio della Capitanata».

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Foggia, il sito in grado di ricevere 500 mila tonnellate di spazzatura
è tra le più grandi illegali mai trovate in Europa. Un centinaio gli indagati

Le accuse: traffico illecito e disastro ambientale

Dodici persone, tra cui dieci noti imprenditori foggiani che operano nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, hanno ricevuto questa mattina un’ordinanza di custodia cautelare, eseguita dai carabinieri del Noe di Bari e Foggia. Avevano messo in piedi una discarica abusiva di circa 500.000 metri cubi, ritenuta dai carabinieri tra le più grandi d’Europa. 

Diversi i reati contestati, a vario titolo, agli arrestati, che ora si trovano agli arresti domiciliari per decisione del gip di Foggia: associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, disastro ambientale, falso, deturpamento di bellezze naturali, danneggiamento e deviazione delle acque di un fiume. 

L’indagine, avviata alcuni mesi fa, riguarda la gestione di una discarica di rifiuti speciali a Deliceto. Per costruirla sarebbe stato deviato il corso delle acque di un fiume, probabilmente nell’intento di nasconderla durante i controlli aerei. 

Sono in tutto un centinaio le persone indagate nell’ambito dell’indagine condotta dalla Procura di Foggia. Secondo le prime rivelazioni sembra che siano coinvolte nove società, nei confronti delle quali sono in corso quarantadue provvedimenti di sequestro di beni e attrezzature riconducibili alla presunta attività illecita. 

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