Arci, Rete nuovo municipio, Attac Italia, Cgil funzione pubblica scrivono insieme un libro «15 anni dopo: pubblico è meglio». Un’indagine su servizi pubblici, lavoro e partecipazione democratica

Guglielmo Ragozzino

Ieri a Roma, nella sede del Consiglio provinciale, quindi a pochi metri dai luoghi della Grande crisi politica, è stato presentato un libro dal titolo «15 anni dopo: pubblico è meglio». Il libro, pubblicato da Carta e Ediesse, è firmato da quattro associazioni: Arci, Rete nuovo municipio, Attac Italia, Cgil funzione pubblica. Consiste in un’«Indagine sulla trasformazione dei servizi pubblici, del lavoro e della partecipazione democratica», ed è a cura di Cinzia Arruzza e Corrado Oddi, una ricercatrice di Attac e un cgiellino.
«15 anni dopo» non è una delle frequenti rievocazioni del passato prossimo, con i ricordi della giovinezza di qualcuno degli autori, sbandate e rivelazioni comprese; è invece un esame, scientifico, rigoroso, appassionato di come i servizi pubblici siano sottoposti alle politiche di privatizzazione in tutto il mondo e in particolare in Europa e in Italia. Quello che precede è, più o meno, il contenuto della prima parte. Invece la seconda parte, entrando nel merito, ripropone un’inchiesta ad hoc su «cosa pensano lavoratori e cittadini»; mentre la terza e ultima parte esamina le privatizzazioni in cinque regioni italiane: Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia.Le materie trattate sono acqua, trasporti, sanità, energia, tanto elettrica che da gas; e di tutte si analizzano e si confrontano il quadro nazionale, il sistema tariffario, le leggi regionali.
Il risultato è un volume molto accurato che fa il punto delle privatizzazioni italiane nel settore dei servizi pubblici locali e offre molti argomenti in favore di un cambio di strategia. Le privatizzazioni sono malviste dai lavoratori e hanno risultati scadenti. E’ ovvio che i lavoratori la pensino così e che le organizzazioni della sinistra anche; meno ovvio che un gruppo di ricercatori esprima in una riunione tutto quello che ha studiato e capito e cerchi in tutti i modi di metterlo a disposizione dell’opinione pubblica e del governo.
Ancor meno consueto che associazioni e sindacati chiedano un confronto aperto al governo, nella persona di Linda Lanzillotta, titolare dei rapporti regionali e presentatrice dell’ultimo e fondamentale disegno di legge per la privatizzazione dei servizi pubblici locali. La discussione pubblica di oggi avrebbe dovuto avere il momento principale nel dibattito franco e approfondito con Lanzillotta. Invece, per i soliti motivi del gorgo politico maggiore che inghiotte tutto, il confronto non c’è stato e si è verificata una certa fuga di tutti i maggiorenti che pensavano di avere qualcosa di più importante da fare che partecipare alla discussione di un libro, senza neppure la presenza – figuriamoci – di qualche illustre uomo di media-spettacolo. L’unico presente sia pure per pochi minuti, è stato Paolo Ferrero, ministro della solidarietà sociale. Bocca chiusa sulle privatizzazioni, la sua intenzione è apparsa piuttosto quella di fare coraggio ai ricercatori e alle associazioni e forse ricavare a sua volta un po’ di coraggio.
Gli interventi sono stati di qualità: gli assenti, una volta di più, hanno avuto torto. Arruzza ha, tra l’altro, spiegato come sia stato difficile ottenere informazioni da certi enti locali, chiusi intorno ai loro improbabili segreti; mentre Oddi si è provato a ripetere la differenza tra lo spazio pubblico come interesse generale, contrapposto allo statalismo burocratico e al liberismo selvaggio.
Ed è questa duplice riflessione che ha guidato il convegno e il libro che veniva presentato e discusso. Vi era da un lato l’informazione, come bene comune irrinunciabile e come base per la democrazia e la sua forma più alta, partecipata; l’informazione che i lavoratori e i cittadini costruiscono insieme, giorno par giorno. E, d’altro canto, la necessità di tenere ben distinto un bene comune, come l’acqua o la salute dalle forme invadenti che cercano continuamente di sopraffarlo. Insomma, l’invito era, per così dire, di superare due pericoli: quello da destra di chi privatizza, a fini di mercato, ogni bene comune, per farne commercio e speculazione. E dall’altro lato, per così dire da sinistra, di chi si impadronisce con la gestione statale, burocratica e parassitaria e quindi spesso corrotta, di ogni bene comune.